Ditemi, cari italiani, ditemi per favore: cosa vi infastidisce
di più della “vicenda Marò”? Perché difendete a spada tratta i due fucilieri
come se fossero degli eroi? Loro non sono degli eroi, e nemmeno delle
vittime... questo ficcatevelo bene in testa! È forse l’onor di patria che vi spinge
a intasare i social network con la scritta “marò liberi”? O siete forse
convinti che portare una divisa giustifichi ogni tipo di azione? Se pensate
questo vi sbagliate, e di grosso! Io non sono né un giudice né un avvocato ma
ho abbastanza sale in testa per non schierarmi “a priori”. Dunque, facciamo il
punto: c'è il dubbio che questi due uomini abbiano ucciso due pescatori. Due pescatori, avete
capito? Non due criminali, armati di pistola o kalashnikov, ma due uomini
onesti che lavoravano per portare a casa da mangiare alle proprie famiglie. Ma
quei due uomini a casa non sono mai tornati. Li hanno minacciati, dicono, ma in
che modo? Gettando pesci contro una petroliera della marina militare? O
insultando i nostri marinai facendo loro delle linguacce? Oh, sì, è vero... li
hanno scambiati per pirati. Ma da quando i pirati salpano su dei pescherecci
malconci? Mi chiedo addirittura come abbiano fatto a vederli! E gli avvisi? Gli
altoparlanti? I colpi d’avvertimento da sparare in aria secondo la prassi?
Nulla, nessuna traccia. Questa storia fa solo buchi da tutte le parti. Ma noi
vogliamo credere alle favole, giusto? Vogliamo credere che i “nostri” abbiano
ragione solo perché “italiani”, solo perché, non neghiamolo, hanno una divisa!
Ma per favore! Ci stiamo solo piegando ad un tipo d’informazione intossicata che
ha smesso da tempo d’informare per piegarsi alle farse scioviniste di pezzi
grossi del nostro paese. Si credono furbi, infatti, quelli che manovrano il
gioco sul piano internazionale, a gestire la faccenda e a spostarla sul piano
linguistico. Guardate un po’: «li hanno accusati di terrorismo». Mamma mia, “TERRORISMO”, che
parolone. Caspita, di far paura fa paura, nulla da dire. Hanno paragonato i
nostri marò a quelli che hanno buttato giù le Torri gemelle? Mai sia! Vanno
difesi, a tutti i costi! Bravi, molto bravi, ma a cambiare le carte in tavola,
però! Continuiamo: vogliono per loro la pena di morte. La pena di morte? Ma che
ingiustizia è mai questa? Noi siamo contro la pena di morte! Ma al di là di
trucchi linguistici, notizie nascoste e non verificate, ricostruzioni
inventate, ciò che sfugge qui, e che vogliono far sfuggire, è il nocciolo della
questione: i due marò hanno ucciso e due pescatori innocenti non torneranno mai
più dalle loro mogli e dai loro figli. Hanno ucciso e devono pagare. E come se
non bastasse, per premio, viene concesso loro di far ritorno a casa per una
breve vacanza natalizia con la famiglia. Poverini, non meritavano,
effettivamente, dopo un omicidio, di trascorrere il “santo” Natale da soli! E
ancora, e questo è ciò che più mi preme, sapete tutti voi, voi che inneggiate
alla salvezza, alla redenzione, all’assoluzione dei due “poveri” marò, quanti
italiani, (perché sul piano nazionale è che la mettete) sono detenuti, a torto o
a ragione, nelle carceri di tutto il mondo e sperano in un intervento dello Stato
italiano? Sono circa tremila. Sono i “prigionieri del Silenzio”, uomini dei
quali abbiamo sempre presunto la colpevolezza più che l’innocenza, che non
godono di nessun diritto nella terra nella quale sono detenuti, nemmeno di un
processo regolare ma per lo Stato italiano sono solo numeri da mascherare. La
Bonino si dice "indignata" per le accuse che arrivano dall’India e il nostro presidente
del Consiglio le considera “inaccettabili”. Io considero inaccettabile il
silenzio sul resto degli uomini, (attenzione, scrivo ”uomini” e non italiani) che
attendono giustizia. Io mi dico indignata per l’enorme fragore che un singolo
caso sta provocando a dispetto di tanti altri che finiscono nell’ombra. Sempre
in India, ad esempio, nel 2010, due ragazzi italiani, dopo diciotto mesi di
carcere, in condizioni disumane, vengono accusati dal tribunale di Varanasi di
aver soffocato il loro compagno di viaggio e vengono condannati all’ergastolo in
primo grado senza alcuna prova. Nessun intervento politico italiano per loro,
nessuna notizia di apertura nei tg, nessun articolo di giornale, niente di
niente! Solo grazie all’intervento del programma televisivo “Le Iene” i due
ragazzi alla fine dello scorso anno sono stati prosciolti e sono tornati a
casa. Onestamente è a loro, e ai tanti altri condannati dal silenzio, che va la
mia piena solidarietà. E non ai “nostri ragazzi”, come amano definirli, i
quali, se dovessero far ritorno a casa, verrebbero sicuramente accolti all’aeroporto di Ciampino dal
Presidente della Repubblica e dai vari
ministrucci, magari con banda a seguito e medaglie d’oro al valor civile
e non sconterebbero mai nessuna pena.
Ditemi, dunque, cari italiani, è davvero giusto tifare per
l’ipocrisia? Non pretendo di aver ragione ma voglio almeno, con questo,
provocarvi un po’, perché sono smaniosa di sapere cosa vi spinga tanto al vittimismo
nazionale e alla salvezza e “a tutti i costi”! Prima di rispondere, però,
informatevi, nel senso lato della parola. Non fermatevi a ciò che udite in tv
ma scavate, consultate altre fonti e paragonatele con quelle che provengono
anche dall’India, a meno che non crediate già in partenza che quel paese non
sia in grado di giudicare e legiferare. Perché anche di questo vi hanno
convinto: l’India è un paese arretrato ( è una potenza emergente, in realtà) e
tutto ciò che partorisce è di conseguenza inadeguato. Quelli inadeguati siamo
noi, che sappiamo soltanto bendarci gli occhi, chiudere le orecchie e per
pigrizia e vanità fermarci a ciò che più ci compiace. Io non accetto che chi ha
sbagliato, volontariamente o no, non sarò mai io a dirlo, abbia un trattamento
di riguardo e passi per vittima nel nostro paese, perché le vere vittime, della
cattiva informazione, siamo noi.
Riflettiamo un po’ di più, dunque, prima di schierarci e
riempirci la bocca di belle parole scioviniste in nome del tricolore... in
questo paese, quelli a dover essere salvati siamo noi, non i due marò!
Valentina Maria Teresa Fiume
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