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sabato 25 giugno 2011

JOSEPH PULITZER: "SUL GIORNALISMO"

Quello che riporto di seguito è un testo di Joseph Pulitzer del 1904, tratto da " Sul Giornalismo",
 sull'importanza e i ruoli dell'informazione, almeno ai suoi tempi. Ma in realtà le parole del famoso giornalista ed editore ungherese, fondatore del "World" e del cosiddetto "yellow journalism" , dovrebbero essere un monito anche per tutti i giornalisti della società attuale. Parole da imprimere nella memoria, le sue, e da rispettare. Solo così, forse, potremmo avere un'informazione degna di chiamarsi tale.

" Che ci piaccia o meno, ci siamo imbarcati in una rivoluzione del pensiero e dell’esistenza. Il progresso dilaga a velocità sempre maggiore, superando di gran lunga nel giro di pochi decenni il cammino compiuto di precedenti secoli e millenni…
 La stampa è l’unica a lavorare per il pubblico interesse. “L’interesse di tutti è l’interesse di nessuno”, ma questo non vale per il giornalista: esso è suo per adozione. Se non fosse per le sue attenzioni, quasi ogni riforma fallirebbe in partenza. Egli ricorda ai funzionari il loro dovere. Denuncia piani segreti di ladrocinio. Promuove ogni promettente progetto di sviluppo. Avvicina tra loro le classi e le professioni, insegna loro ad agire di concerto sulla base del senso civico comune.
La nostra Repubblica e la sua stampa progrediranno o cadranno insieme. Una stampa capace, animata da spirito civico, con un’intelligenza allenata a distinguere ciò che è giusto e ad avere il coraggio di realizzarlo, può preservare quella pubblica virtù senza la quale il governo del popolo non è che impostura e dileggio. Una stampa cinica, mercenaria, demagogica e corrotta a lungo andare renderà il popolo tanto ignobile quanto lo è essa stessa.

Il potere di plasmare il futuro della Repubblica è nelle mani dei giornalisti delle future generazioni."

venerdì 24 giugno 2011

ZADIE SMITH E I "QUATTRO GRANDI MOTIVI PER SCRIVERE"

Propongo qui un estratto scritto per Repubblica della lectio magistralis sul tema "perchè scrivere" che Zadie Smith ha tenuto al Festival degli scrittori di Firenze".
 " Nel suo saggio Perché scrivo, George Orwell ci descrive i “quattro grandi motivi per scrivere”. Il primo è il mio preferito: «1. Puro egoismo. Desiderio di apparire intelligente, di far parlare di sé, di essere ricordato dopo la morte, di prendersi la rivincita sugli adulti che ti snobbavano quando eri bambino, e via dicendo. È ipocrita fingere che questo non sia un motivo, e un motivo forte. (…) La grande massa degli esseri umani non è formata da persone intensamente egoiste. Dall’ età di trent’ anni in poi, o giù di lì, abbandonano quasi del tutto la sensazione di essere individui: e vivono soprattutto per gli altri, o semplicemente schiacciati sotto il peso di un lavoro abbrutente. Ma c’ è anche una minoranza di persone armate di talento e forza di volontà che si ostinano a vivere la propria vita fino alla fine, e gli scrittori appartengono a questa categoria». Dovrebbero stamparlo su delle magliette e distribuirle ai festival letterari. Il secondo motivo Orwell lo chiama “Entusiasmo estetico”, e lo intende sia nel senso della percezione della bellezza del mondo esterno, sia di quella delle parole e della loro giusta disposizione. Il terzo motivo è l’ “Impulso storico”, definito in senso ampio come il “Desiderio di vedere le cose come stanno, di portare alla luce dati di fatto veri e conservarli a beneficio della posterità”. L’ ultimo è lo “Scopo politico”: “Desiderio di spingere il mondo in una certa direzione, di modificare l’ altrui concezione del tipo di società alla quale bisogna tendere”. Ciò che mi interessa di questo sistema di classificazione è cercare di capire se in qualche sua parte è ancora valido o meno. Vedo subito un problema con il motivo numero uno: Puro egoismo. Non metto in dubbio la sua esattezza per quanto riguarda gli scrittori. Ma penso che Orwell, se fosse vivo oggi, sarebbe sorpreso nel vedere fino a che punto gli scrittori hanno smesso di essere l’ eccezione. Quella grande massa degli esseri umani che “abbandonano la sensazione di essere individui” è in larga misura scomparsa, almeno nel mondo sviluppato. Oggi tutti “si ostinano a vivere la propria vita fino alla fine”, a prescindere dalla loro condizione sociale ed economica, e quelle che Orwell avrebbe considerato professioni decorose e onorevoli – l’ insegnante, l’ infermiera – ora sono viste come lavoro abbrutente. Il desiderio di fama e autorealizzazione è ovunque. E dato che è così, non dovrebbe sorprendere il fatto che quella dello “scrittore” sia diventata una carriera di fantasia. Senz’ altro non sono l’ unica scrittrice ad aver notato che, quando fa una presentazione in pubblico, la platea non è più piena di lettori. È piena di gente che si identifica con questa parola, “scrittore”. Non sono venuti perché hanno letto il mio libro, o altri libri qualunque. Sono venuti perché io sono una scrittrice e anche loro sono scrittori. Per loro, la scrittura ha ben poco a che fare con la lettura. È un’ identità, che sembra offrire l’ irresistibile e moderna opportunità di fare ciò che sei. Ne consegue, secondo me, che gli scrittori non possono più sperare di definirsi come “persone armate di forza di volontà che si ostinano a vivere la propria vita fino alla fine”. Un tempo era possibile guardare con ammirazione un singolo individuo che si esprimeva con onestà compulsiva in una serie di romanzi: osando scrivere ciò che nessun altro osava dire. Era possibile che un libro come Lamento di Portnoy, per dire, venisse accusato di minacciare il tessuto morale dell’ America! Oggi Internet è affollata di Roth in miniatura che rivelano tutto a chiunque li voglia ascoltare. Il “Puro Egoismo” un tempo era una caratteristica vagamente mostruosa che pochi avrebbero ammesso di possedere: adesso è diventato praticamente un diritto umano. Perché scrivere? Perché sono uno scrittore! Be’ , lo puoi gridare forte quanto ti pare, ma sappi che intorno a te lo sta gridando chiunque, e avete tutti lo stesso diritto di usare quella parola. Per reazione a questo assalto di massa alla Bastiglia letteraria, alcuni tentano di difendere i loro privilegi appoggiandosi vigorosamente alla parola “pubblicato”, ossia: “Ma io sono uno scrittore pubblicato !” Presto però la distinzione sarà obsoleta, e comunque è un’ argomentazione che regge poco. Molti finti scrittori sono pubblicati, e su Internet esistono molti scrittori veri: la contrapposizione non durerà ancora a lungo. Che dire del secondo motivo, il motivo estetico? Il microlavoro della cura per la bellezza e l’ efficacia di una frase sembrerebbe un salutare antidoto alle rivendicazioni pseudospirituali con cui a volte si difende la professione “scrittore”. Meglio considerarsi artigiani specializzati. In molti sanno assemblare una sedia alla bell’ e meglio: capiscono i principi basilari di una sedia. Ma sono in grado di costruire una sedia ben rifinita come la tua? In un mondo in cui chiunque è uno scrittore e chiunque è “pubblicato”, la scrittura deve distinguersi per la sua abilità, per la sua chiarezza e la sua perizia tecnica, e gli scrittori giustificheranno la loro esistenza solo se le loro frasi sapranno ricordarci le vere potenzialità del linguaggio. Può sembrare che questo non sia un ruolo molto nobile o prestigioso per lo scrittore del ventunesimo secolo: forse detto così somiglia un po’ troppo a un lavoro abbrutente. Pensando a questi problemi è difficile non cadere in un romantico vittimismo o in una stereotipata disperazione. Sto costruendo una sedia che non vuole nessuno! Perfino Philip Roth – che in pratica ha più persone sedute sulle sue sedie di chiunque altro al mondo – guarda al futuro prossimo con poetica rassegnazione: «Credo che diventerà una specie di culto. Penso che la gente continuerà a leggere ma sarà un piccolo gruppo di persone. Forse più di quelle che oggi leggono la poesia latina, ma suppergiù in quell’ ordine di grandezza…». Ha ragione, ne sono certa – ma questa opinione compiace troppo l’ abituale vittimismo degli scrittori. Forse se le nostre sedie non vanno per la maggiore è per altri motivi: magari sembrano superflue, non necessarie. In questo senso il terzo e l’ ultimo motivo di Orwell – l’ “Impulso storico” e lo “Scopo politico” – offrono la possibilità di costruire una vita da scrittore su basi più solide. Danno allo scrittore un’ occasione per rendersi utile, o quanto meno per impegnarsi in un dialogo con il mondo circostante. Il desiderio di vedere le cose come stanno. Lo spiegherò con un’ analogia. Recentemente, stavo leggendo su Internet un articoletto satirico sulla pubblicazione ufficiale del certificato di nascita “integrale” di Obama. Sotto la battuta, un Anonimo aveva commentato: “Una vittoria per i sostenitori della dimostrazione empirica!” Io spero che l’ Anonimo sia uno scrittore. Tutti gli scrittori dovrebbero essere fermi ed entusiasti sostenitori della dimostrazione empirica. In questo momento storico, in cui la natura stessa di ciò che costituisce una “prova” viene messa in discussione da chi ritiene che lo scetticismo staccato dal giudizio sia di per sé una virtù, è fondamentale che chi si definisce “Scrittore” faccia lo sforzo di dimostrare, nella propria opera, che è possibile essere scettici e allo stesso tempo possedere una conoscenza vera, leggere fra le righe e anche leggere le righe. Ma preparatevi a una bella lotta. Di recente ho avuto un’ accesa discussione con un ragazzo convinto che le Torri Gemelle siano state fatte saltare con la dinamite dagli stessi americani. Non credeva ai filmati tv (“Ologrammi!”) e non credeva alla mia lunga descrizione dei retroscena, derivata da Le altissime torri, libro del giornalista investigativo Lawrence Wright (“Chi è Lawrence Wright?”). Di lì a poco mi sono ritrovata a snocciolare disperatamente nomi di riviste autorevoli che il mio interlocutore non aveva mai letto (“Cos’ è il New Yorker ?”) e di studiosi e università di cui non gli importava niente, e di giornalisti che avevano intervistato Bin Laden per testate che dal suo punto di vista non valevano nulla. Tutte queste “prove” lui le ha radunate per benino sotto la categoria “Media”e le ha liquidate in un batter d’ occhio. Gli facevo pena: “Non crederai mica a tutto quello che dicono i media, vero?” Di base, ero impotente di fronte a lui. “Perché credere che un aereo abbia abbattuto le torri?” si rivela, sul piano ontologico, una domanda molto simile a “Perché credere di essere uno scrittore?” Non si può dare risposta ricorrendo ai canali e ai tramiti accettati in passato: le università, gli organi di informazione, le riviste, le case editrici. Questa nuova forma di scetticismo è semplicemente troppo vasta. A livello epistemologico, siamo tornati a un periodo più arretrato, in cui la gente esigeva di avere un incontro in prima persona con la verità prima di accettarla. Perciò le Hawaii devono disseppellire il certificato di nascita integrale di Obama, e uno scrittore a suo modo deve continuare a dimostrare, frase per frase, che appartiene ai sostenitori della dimostrazione empirica. Oggigiorno uno scrittore deve fare uno sforzo incredibile per contrastare l’ enorme massa di realtà false che vengono massicciamente propinate alle persone tramite i loro dispositivi elettronici. Opporre resistenza a questo tsunami di cazzate dovrebbe dare a un giovane scrittore tutta la “motivazione politica” di cui potrebbe mai aver bisogno. In un momento in cui siamo circondati da realtà contraffatte, il desiderio di vedere le cose come stanno è già in sé un atto rivoluzionario. Ma vedere lucidamente non significa vedere univocamente: viceversa, sono le realtà contraffatte quelle che tendono a essere lineari e univoche. Un terrorista è questo. Un immigrato è questo. I sostenitori della dimostrazione empirica hanno il dovere di tentare di complicare il racconto: di rappresentare il mondo in tutta la sua incredibile varietà."

" IL POTERE E' UN SISTEMA DI EDUCAZIONE CHE CI DIVIDE IN SOGGIOGATI E SOGGIOGATORI"

"Prima tragedia: una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l'arena dell'avere a tutti i costi […] L'educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere."  
"Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere il padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto, nessuno li aveva colonizzati."  
"Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra in Borsa uso quella. Altrimenti una spranga."  
"Non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l'una contro l'altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l'orario ferroviario dell'anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano lì, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c'è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità." 

P. P. Pasolini

4 Novembre 1975, la sua ultima intervista.
Rilasciata a Furio Colombo.
 

ISTRUZIONE AL GUINZAGLIO: L' INGHILTERRA COME L'ITALIA



Non sei ricco? E allora che vuoi? Niente scuola!
Per una volta non siamo in Italia, anche se la dinamica è la stessa, ma nella terra dei nostri cugini inglesi che si battono ad oltranza, da più di un anno, per gli esosi costi d'iscrizione alle università statali. Sì, statali, ho scritto bene. O pubbliche, se preferite. Quelle che dovrebbe garantire e tutelare lo Stato, insomma.  Novemila sterline, l'anno, invece, è la cifra per accedervi. Cifra che fa rizzare i capelli pure a chi non li ha. E che fa considerare "conveniente" rimanere ignoranti, piuttosto. Il governo inglese sapete come risponde? Non risponde! E a dare la zappa sui piedi agli universitari ci pensano alcuni celebri accademici e ricchi investitori. Un connubio perfetto dal quale nasce il progetto di un ateneo d'élite dai costi stratosferici. Non certo per i figli degli operai. Diciottomila sterline per accedere alla cultura, più di ventimila euro, quasi l'equivalente delle celebri università statunitensi di Havard, Yale e Princeton. Questa la retta del New College of the Umanities di Londra. Che di british ha solo il nome. Elitarie e selezionate pure le facoltà, solo umanistiche, e quindi legge, inglese, storia, filosofia ed economia. E solo insegnanti di spicco provenienti da Oxford e Cambridge. Certo, perchè scomodare i neo laureati? Il prof. di ottant' anni conosciuto in tutto il mondo è un ottima pubblicità per la scuola! Anche se annega già nel suo stesso denaro e non sa più mettere due parole di fila per l'età avanzata. Eccoli tre dei promotori della nuova "genialata" inglese: il filosofo A. C. Grayling, lo storico Niall Ferguson, il genetista Steve Jones. E così Bloomsbury, il quartiere dove il New College avrà sede, si trasformerà in una nuova City. E il passaggio dalla scuola al mondo del lavoro sarà immediato. Solo per i rampolli, però! Ancora una volta, infatti, l'istruzione viene messa al guinzaglio dal denaro e dalle regole del mercato, e solo i più ricchi, e non i meritevoli, potranno permettersi un simile lusso. Sì, è vero, è pur sempre un lusso quello di cui stiamo parlando. E non è una novità che chi non può permetterselo non va. Ma ciò che qui è deplerevole è l'aver risposto ad una crisi pubblica con una provocazione privata. Del tipo, più grossolanamente: non puoi comprare il pane? Beh, io sì. E una volta che posso esagero con le quantità! Senza dartene nemmeno un po'. Ma i promotori dell'iniziativa si difendono pure: un posto ogni cinque sarà riservato a studenti vincitori di borse di studio (che clemenza da piccola fiammeraia, quasi commuovente). E poi il loro progetto è solo un modo per salvaguardare le facoltà umanistiche penalizzate dai tagli statali. In realtà è solo un modo per salvaguardare le loro tasche, che di sicuro non subiranno mai tagli.
La vicenda inglese è sicuramente molto simile alla nostra. Denunciarla è un passo importante ma la solidarietà tra popoli studenteschi non basta a eliminare un veleno tanto potente come quello della privatizzazione culturale. Noi come loro dovremmo mobilitarci di più per ciò che ci spetta di diritto e che invece ci viene tolto quasi con dovere. I nostri cugini inglesi propugnano un'immediata cancellazione dei tagli destinati alla scuola pubblica, ma questo, per ora, è solo un miraggio. E sicuramente rimarrà un miraggio pure tornare a parlare di scuola pubblica se personalità avide e ipocrite come i promotori del New College continueranno a considerare il sangue blu e non il merito come requisiti d'accesso alla cultura.
E pensare che quasi tutti i futuri professori della Scuola sono di sinistra. L'ho detto.

giovedì 23 giugno 2011

LA NOSTRA CARA GENERAZIONE "DI FRETTA"


Potremmo chiamarla "speed generation", la nostra. Ovvero? Umm, troppo tempo per spiegarla, vado di fretta. Ma magari mi disconnetto un "attimino" e ci provo.
L'etichetta che graziosamente ho appiccicato alla generazione attuale, cari colleghe e colleghi, si riferisce alla "velocità" che costantemente anime le nostre vite. Veloci nella quotidianità. Veloci nelle relazioni, amichevoli, amorose e sessuali. Veloci nell'eloquio e nella scrittura. Ovunque la parola d'ordine è "subito"! Dunque, chi si ferma è perduto! Abbiamo imparato, quasi con compiacimento, a dilatare il nostro tempo e compattare due o  tre giorni di attività in una sola. Chi ci ha iniettato il perfido "speedy-virus"? Internet, ovviamente. La madre di tutte le tecnologie, che non si è accontentata solo del web. Qualche esempio pratico? Un semplice" click" sulla tastiera del pc e in pochi minuti possiamo contemporaneamente leggere e-mail, scaricare video da you tube, ascoltare musica, giocare on line, videochiamarci e, dulcis in fundu, connetterci ai re dei social network. (Facebook, ovviamente). Sulla rete, dunque, e non solo, tutto urge, si fa presto e subito, il prima possibile e simultaneamente. E guai se un messaggio di posta elettronica tarda ad arrivare o la lucina della chat non si illumina. Se sono trascorsi più di due minuti dalla connessione e nessuno ci ha cercati...apriti cielo! Si attiva la psicosi. Nel breve tenpo possibile si deve rimediare. Perchè essere cercati corrisponde, oggi, ad essere qualcuno. Anche se solo in maniera fittizia. Ecco così che la "speedy- ansia"(attenzione, è solo un neologismo da me creato per l'occasione) è presto servita anche nella quotidianità. E così malediciamo un tram quando ritarda di un solo minuto; imprechiamo contro l'automobilista che ci precede se non scatta come un pilota al verde del semaforo; facciamo i riti Vudù alla cassiera che dorme anzichè conteggiare la spesa.
Anche linguisticamente il tempo si è ridotto; Anzi, l'abbiamo ridotto: "un momento" è diventato "un momentino" e un attimo si è ridotto a "un attimino". Si torna a lavorare "in un baleno". Tutto è pronto in un batter d'occhio. E ancora: il rullino fotografico? Sviluppato in un'ora! Il risotto? Cotto in due minuti. Il caffè? Espresso, ovviamente! I viaggi "last minute", e i giochi gratta e vinci.
Nel campo delle relazioni grazie a facebook si diventa "amici" in un "battibaleno". Basta inviare una semplice "richiesta d'amicizia", ben diversa dalla faticosa <<vuoi diventare la mia amichetta?>> rivolta alla compagna di banco delle elementari. E poi si diventa prima adolescenti, e ancor prima donne. I "sì" per tutta la vita sono fulminei così come i divorzi. Istantaneo pure il negozio nel quale abbiamo fatto un ottimo acquisto. Vorrei tornarci. Spiacente, non c'è più. Era un "temporary store".
Ovunque, nella rete, in tv, alla radio e nelle pubblicità, "flash" è una tra le parole piu' ridondanti. E anche "subito". Come le chiavi in mano dopo l'acquisto di un'auto nuova. E che dire dei giornalisti? Quanta nostalgia degli anni '60, quando gli speakers televisivi erano più attenti, pacati, con un'attenzione maggiore alla qualità dell'informazione rispetto alla quantità. Oggi, invece, è il trionfo dell'abbondanza: di fonemi, di locuzioni, di aggettivi inutili e gesti subitanei e distratti. Con piu' refusi nei testi. E più superficilità in generale.
Che dire, cari colleghi...se si andasse di fretta verso qualcosa di buono sarebbe interessante e piacevole correre. Ma, purtroppo, a tanta tecno-velocità corrisponde una spaventosa IMMOBILITà SOCIALE. In Europa. E in Italia, soprattutto, la più gerontocratica e conservatrice tra le società moderne. Si può correre quanto si vuole, inventarsi anche maratoneti, ma il ricambio generazionale resta sempre lo stesso: lento. Quasi fermo. Paralizzato l'accesso alle progressioni e ai ruoli più pregiati e completamente statiche le classi dirigenti.
Il contesto valoriale e materiale entro cui si articola la dialettica sociale e intergenerazionale è ingorgato. Nel mondo del baronato lavorativo o del neonepotismo universitario italiano la velocità sembra proprio non voler arrivare. Anzi, qui vigono le leggi di Morfeo. E "speedy" è solo un aggettivo della lingua inglese.
 Ma ancora una volta sono fiduciosa e voglio credere che le nostre corse servano a velocizzare pure le piu' dormienti delle Istituzioni. E chissà che non abbia ragione un buon vecchio adagio della mia terra nativa che dice: << intanto allacciati le scarpe e comincia a correre...>>.

sabato 18 giugno 2011

NOI SIAMO L'ITALIA MIGLIORE!

"...il periodo che si dice "Sì" continuamente...altro che '68! E' stato un periodo di una bellezza con tutti questi "Sì", proprio una grande gioia. 
E' facile dirvi che voi siete l'Italia migliore! ... Siamo un grande paese in cui la Costituzione difende il diritto al lavoro! Quando lavoriamo modifichiamo soprattutto noi stessi. C'è una ricompensa misteriosa che nessuno ci può togliere: conosciamo noi stessi, diventiamo indipendenti dall'universo intero. Lavorare è un diritto che nessuno ci deve togliere. Non è una dolorosa necessità ma è un servizio divino. Il diritto al lavoro è una cosa sacra e ogni legge che attenti al lavoro è un sacrilegio! Amare il proprio lavoro è la più grande felicità che ci sia data di conoscere sulla terra. Amare il proprio lavoro dovrebbe essere ciò che dobbiamo fare per i nostri figli, la base su cui difendere la nostra futura società. Amare il nostro lavoro, con quella coscienza di essere utili. E' grazie a voi che il mondo va avanti! Evviva il lavoro!".
 ROBERTO BENIGNI

Roberto Benigni, in diretta da Villa Angeletti a Bologna, ospite di "Tutti in piedi", con Michele Santoro, per i 110 anni della FIOM.

mercoledì 15 giugno 2011

"PICCOLI PAGLIACCI CRESCONO"...PECCATO SI TRATTI DEI NOSTRI MINISTRI!

UMILIATA. OFFESA. ARRABBIATA.
IO COME MIGLIAIA DI ALTRI GIOVANI.
IO COME MIGLIAIA DI PRECARI RAPPRESENTATI DA CHI, COME BRUNETTA IERI, CI CONSIDERA "IL PEGGIO" DELL'ITALIA.

IO LA RIPROPONGO, L'INFAMIA, IN TUTTA LA SUA INTEGRITA'.

E GUAI A CHI CONDANNA IL WEB, IL GIORNALISMO E LA CULTURA COME MEZZI DI DENUNCIA!
UN TEMPO C'ERANO GLI STRISCIONI E LE LOTTE DI PIAZZA, E' VERO. E C'ERA PURE LA PAROLA.
NOI LA PAROLA CE L'ABBIAMO ANCORA.  NEI GIORNALI,  SU INTERNET, NEI VIDEO, NELLE FOTOGRAFIE.
PERCHè AVERE LA PAROLA, OGGI, VUOL DIRE SOPRATTUTTO COMUNICARE, CON TUTTI I MEZZI.
L'EPISODIO DEL MINISTRO BRUNETTA, INFATTI, NON PROVOCHEREBBE LO STESSO SDEGNO SE FOSSE SOLO INCORNICIATO IN UNA PAGINA DI QUOTIDIANO.
INVECE, NONOSTANTE SIA UN'AMANTE FEDELE DELLA SCRITTURA, E' L'INSIEME DELLE  IMMAGINI,  DEL SUONO DELLE SUE PAROLE, DEL TAM-TAM SU INTERNET E DEL SUBBUGLIO SUI SOCIAL NETWORK A FARE  LA VERA NOTIZIA.
DA DIFFONDERE. E DENUNCIARE, OVVIAMENTE!

BUONA VISIONE!





P. S.:  La mia amica mi ha appena chiesto che cosa c'entri io con i precari.  Ho risposto: << Sai, sono una studentessa. SE LE COSE NON CAMBIERANNO, direi che sono una futura "adepta" del precariato!

ACCULTURAZIONE E ACCULTURAZIONE

" Molti lamentano (in questo frangente dell' austerity) i disagi dovuti alla mancanza di una vita sociale e culturale organizzata fuori dal Centro "cattivo" nelle periferie "buone" (viste con dormitori senza verde, senza servizi, senza autonomia, senza più reali rapporti umani). Lamento retorico. Se infatti ciò di cui nelle periferie si lamenta la mancanza, ci fosse, esso sarebbe comunque organizzato dal Centro. Quello stesso Centro che, in pochi anni, ha distrutto tutte le culture periferiche dalle quali, appunto, fino a pochi anni fa, era assicurata una vita propria, sostanzialmente libera, anche alle periferie più povere e addirittura miserabili.
Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l' adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L' abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la "tolleranza" della ideologia edonistica, voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all' organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d' informazioni.
Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d' informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione il Centro ha assimilato a sé l' intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè, come dicevo, i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un "uomo che consuma", ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.
L' antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l' unico fenomeno culturale che "omologava" gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale "omologatore" che è l' edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c' è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due Persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s' intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina).
Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?
No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i "figli di papà", i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli.
Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l' analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari umiliati cancellano nella loro carta d'identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di "studente". Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo-borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi). Nel tempo stesso, il ragazzo piecolo-borghese, nell' adeguarsi al modello "televisivo" che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale, diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio "uomo" che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali.               La responsabilità della televisione in tutto questo è enorme. Non certe in quanto "mezzo tecnico", ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. E attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere.
Non c' è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l' aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l' anima del popolo italiano; il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto la televisione), non solo l' ha scalfita, ma l' ha lacerata, violata bruttata per sempre..."

Pier Paolo Pasolini.

Estratto da " Scritti Corsari". 
Nel "Corriere della sera" articolo apparso il 9 Dicembre 1973 col titolo "Sfida ai dirigenti della televisione". 


lunedì 13 giugno 2011

L'ITALIA RIPARTE DA 4 Sì!

UNA SOLA INFORMAZIONE: QUORUM RAGGIUNTO.
E UN'UNICA, GRANDE COMUNICAZIONE: L'ITALIA CHIAMA E IL POPOLO RISPONDE!

Un messaggio codificato da un soggetto "EMITTENTE" e trasmesso ad altro soggetto "RICEVENTE" mediante un determinato canale di comunicazione costituisce "INFORMAZIONE".
Qualora il ricevente a sua volta codifichi e invii un messaggio di risposta nei confronti dell'emittente (FEEDBACK) si realizza un'interazione tra i soggetti. In questo caso l'intero processo prende il nome di COMUNICAZIONE.
La differenza, quindi,  tra informazione e comunicazione è data dal feedback, ovvero il messaggio di risposta.

Nel caso del referendum popolare abrogativo del 12 e 13 Giugno, dunque, lo schema comunicazionale è così ripartito:

EMITTENTE: L'ITALIA.

MESSAGGIO: 4 QUESITI DA ABROGARE.
                        QUESITO 1: PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA.
                        QUESITO 2: PROFITTI SULL'ACQUA.
                        QUESITO 3: ENERGIA NUCLEARE.
                        QUESITO 4: LEGITTIMO IMPEDIMENTO.

RICEVENTE: IL POPOLO ITALIANO.

Quest'ultimo risponde con un'affluenza alle urne di oltre il 57% e una maggioranza schiacciante del Sì!
 Il FEEDBACK è innescato.
I giovani si mobilitano, si entusiasmano e sfruttano il WEB per rompere il silenzio della tv pubblica.
Gli aduti e gli anziani rispondono al loro richiamo, fiduciosi nel risveglio di una nuova classe che presto porterà il paese verso un futuro migliore. O almeno dichiara, anche con la vittoria di oggi, di volerlo fare.
Le piazze tornano a riempirsi e i dibattiti ad accendersi.
Da nord a sud LA VOLONTA' VINCE.
E L'ITALIA REAGISCE!





Viva l'Italia, l'Italia liberata,
l'Italia del valzer, l'Italia del caffè.
L'Italia derubata e colpita al cuore,
viva l'Italia, l'Italia che non muore.
Viva l'Italia, presa a tradimento,
l'Italia assassinata dai giornali e dal cemento,
l'Italia con gli occhi asciutti nella notte scura,
viva l'Italia, l'Italia che non ha paura.
Viva l'Italia, l'Italia che è in mezzo al mare,
l'Italia dimenticata e l'Italia da dimenticare,
l'Italia metà giardino e metà galera,
viva l'Italia, l'Italia tutta intera.
Viva l'Italia, l'Italia che lavora,
l'Italia che si dispera, l'Italia che si innamora,
l'Italia metà dovere e metà fortuna,
viva l'Italia, l'Italia sulla luna.
Viva l'Italia, l'Italia del 12 dicembre,
l'Italia con le bandiere, l'Italia nuda come sempre,
l'Italia con gli occhi aperti nella notte triste,
viva l'Italia, l'Italia che resiste.

giovedì 9 giugno 2011

LA SPERANZA CHE CI HA LASCIATO TIZIANO TERZANI: PER UN GIORNALISMO NUOVO OCCORRE CUORE E CORAGGIO

HA ANCORA SENSO FARE GIORNALISMO?
" Sì, SE UNO HA IL CORAGGIO DI FARLO COME VUOLE LUI E NON COME GLI VIENE IMPOSTO...
BISOGNEREBBE CHE I GIOVANI RINUNCIASSERO AL SOGNO DI FARE CARRIERA...PER FARE UN LAVORO PIù GENUINO, DI SCOPERTA, DI ESPLORAZIONE...
LA PROFESSIONE Sì, SI PUò SEMPRE FARE. BISOGNA FARLA CON CORAGGIO, CON INVENTIVA E CON FANTASIA, MA C'è DA FARE! ...
LA RIFLESSIONE E LA SCRITTURA HANNO ANCORA VALORE...
RINUNCIANDO ALLA PRETESA ANGLOSASSONE DI ESSERE OBIETTIVI...C'è BISOGNO DI RIPORTARE IL CUORE NELLA VITA!...
QUESTO Dà SPAZIO A UN GIORNALISMO NUOVO."

TIZIANO TERZANI

mercoledì 8 giugno 2011

"... QUESTA MIA GENERAZIONE E' PREPARATA A UN MONDO NUOVO E A UNA SPERANZA APPENA NATA, AD UN FUTURO CHE HA GIA' IN MANO, A UNA RIVOLTA SENZA ARMI..."


 
Ho visto
la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente,
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate,
dentro alle stanze da pastiglie trasformate,
lungo alle nuvole di fumo del mondo fatto di città,
essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà
e un dio che è morto,
ai bordi delle strade dio è morto,
nelle auto prese a rate dio è morto,
nei miti dell' estate dio è morto...

Mi han detto
che questa mia generazione ormai non crede
in ciò che spesso han mascherato con la fede,
nei miti eterni della patria o dell' eroe
perchè è venuto ormai il momento di negare
tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura,
una politica che è solo far carriera,
il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto,
l' ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
e un dio che è morto,
nei campi di sterminio dio è morto,
coi miti della razza dio è morto
con gli odi di partito dio è morto...

Ma penso
che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano,
a una rivolta senza armi,
perchè noi tutti ormai sappiamo
che se dio muore è per tre giorni e poi risorge,
in ciò che noi crediamo dio è risorto,
in ciò che noi vogliamo dio è risorto,
nel mondo che faremo dio è risorto...

LA POESIA DELLA TRADIZIONE

Oh generazione sfortunata!
Cosa succederà domani, 

se tale classe dirigente -
quando furono alle prime armi
non conobbero la poesia della tradizione
ne fecero un'esperienza infelice perché senza
sorriso realistico gli fu inaccessibile
e anche per quel poco che la conobbero, dovevano dimostrare
di voler conoscerla sì ma con distacco, fuori dal gioco.
Oh generazione sfortunata!
che nell'inverno del '70 usasti cappotti e scialli fantasiosi
e fosti viziata
chi ti insegnò a non sentirti inferiore —
rimuovesti le tue incertezze divinamente infantili —
chi non è aggressivo è nemico del popolo! Ah!
I libri, i vecchi libri passarono sotto i tuoi occhi
come oggetti di un vecchio nemico
sentisti l'obbligo di non cedere
davanti alla bellezza nata da ingiustizie dimenticate
fosti in fondo votata ai buoni sentimenti
da cui ti difendevi come dalla bellezza
con l'odio razziale contro la passione;
venisti al mondo, che è grande eppure così semplice,
e vi trovasti chi rideva della tradizione,
e tu prendesti alla lettera tale ironia fintamente ribalda,
erigendo barriere giovanili contro la classe dominante del passato
la gioventù passa presto; oh generazione sfortunata,
arriverai alla mezza età e poi alla vecchiaia
senza aver goduto ciò che avevi diritto di godere
e che non si gode senza ansia e umiltà
e così capirai di aver servito il mondo
contro cui con zelo «portasti avanti la lotta»:

era esso che voleva gettar discredito sopra la storia — la sua;
era esso che voleva far piazza pulita del passato — il suo;
oh generazione sfortunata, e tu obbedisti disobbedendo!
Era quel mondo a chiedere ai suoi nuovi figli di aiutarlo
a contraddirsi, per continuare;
vi troverete vecchi senza l'amore per i libri e la vita:
perfetti abitanti di quel mondo rinnovato
attraverso le sue reazioni e repressioni, sì, sì, è vero,
ma sopratutto attraverso voi, che vi siete ribellati
proprio come esso voleva, Automa in quanto Tutto;
non vi si riempirono gli occhi di lacrime
contro un Battistero con caporioni e garzoni
intenti di stagione in stagione
né lacrime aveste per un'ottava del Cinquecento,
né lacrime (intellettuali, dovute alla pura ragione)
non conosceste o non riconosceste i tabernacoli degli antenati
né le sedi dei padri padroni, dipinte da
—e tutte le altre sublimi cose
non vi farà trasalire (con quelle lacrime brucianti)
il verso di un anonimo poeta simbolista morto nel
la lotta di classe vi cullò e vi impedì di piangere:
irrigiditi contro tutto ciò che non sapesse di buoni sentimenti
e di aggressività disperata
passaste una giovinezza
e, se eravate intellettuali,
non voleste dunque esserlo fino in fondo,
mentre questo era poi fra i tanti il vostro dovere,
e perché compiste questo tradimento?
per amore dell'operaio: ma nessuno chiede a un operaio
di non essere operaio fino in fondo
gli operai non piansero davanti ai capolavori
ma non perpetrarono tradimenti che portano al ricatto
e quindi all'infelicità
oh sfortunata generazione
piangerai, ma di lacrime senza vita
perché forse non saprai neanche riandare
a ciò che non avendo avuto non hai neanche perduto:
povera generazione calvinista come alle origini della borghesia
fanciullescamente pragmatica, puerilmente attiva
tu hai cercato salvezza nell'organizzazione
(che non può altro produrre che altra organizzazione)
e hai passato i giorni della gioventù
parlando il linguaggio della democrazia burocratica
non uscendo mai della ripetizione delle formule,
ché organizzar significar per verba non si poria,
ma per formule sì,
ti troverai a usare l'autorità paterna in balia del potere
imparlabile che ti ha voluta contro il potere,
generazione sfortunata!
Io invecchiando vidi le vostre teste piene di dolore
dove vorticava un'idea confusa, un'assoluta certezza,
una presunzione di eroi destinati a non morire —
oh ragazzi sfortunati, che avete visto a portata di mano
una meravigliosa vittoria che non esisteva!


Pier Paolo Pasolini, 1971 da TRASUMANAR E ORGANIZZAR

mercoledì 18 maggio 2011

Fratelli d'Italia...l'Italia s'è desta!

Eccolo qui. Lo sapevo, ci speravo. Il nostro Belpaese torna a respirare. Pensava di averci messo in ginocchio, il nostro patetico imperatore della menzogna ( Berlusconi, per chi non avesse ancora afferrato). E invece l'Italia ha reagito. A sferrarre il contrattacco proprio la sua amata Milano...quella Milano che lo ha favoleggiato, osannato, protetto in grembo come una madre amorevole, ma che oggi lo schiaffeggia. Anzi, gli tira una bella "sleppa", usando un termine di uno slang lombardo. Ancora una volta il nostro caro primo ministro si era preso la scena anche quando nessun ruolo gli competeva, e la lotta di una donna sempre alla sua ombra per riconfermarsi sindaco  doveva essere l'ennesima prova per riconfermare invece il suo potere. Un test nazionale, un referendum su se stesso, insomma. Ma che ha clamorosamente perso! Sì, alle elezioni dei giorni scorsi, che hanno coinvolto soprattutto città e province del centro nord, il berlusconismo è morto! Giusto qualche dato per annunciare (stiamo cauti per adesso) la fine di un'era, la piu' narcotizzata d'Italia: ben 19 comuni capoluogo sono andati alle sinistre ( tra questi trionfano Bologna e Torino); sette province al pd e solo 4 al pdl; ballottaggio nel capoluogo lombardo tra Pisapia e miss Moratti, e a Napoli, a sorpresa, tra il pdl e il dipietrista De Magistris. Insomma, "aria pesante" nel pdl (ma non era la sinistra a non lavarsi?) e, Bossi non me ne voglia per il "furto", ma forse sarebbe proprio il caso di dire finalmente " Fora di ball ! ". Dunque, la lega annaspa, i "grillini" saltellano qua e là, (come sono urtanti con i loro friniti), le sinistre avanzano, ma l'Italia è la vera vincitrice! Anzi, l'Italia che si ribella e "scende in campo". Per dire Basta a sua maestà il cavaliere che, accecato dalle sue smanie imperialistiche, ha  ridotto al lastrico un'intera nazione. Che guarda caso è la nostra. Chissà, forse aveva in mente di acquistarla per poterla risollevare...tanto, come piu' volte ha suggerito il grande Benigni, " è tutto suo ". Sua pure la responsabilità delle varie psicosi che si sono radicate nel paese. Berlusconi e i suoi scagnozzi ci hanno infatti insegnato, o meglio, volevano "inculcarci", che gli immigrati fanno paura e  devono essere lasciati a casa; che la Libia è amica nostra, ma se l'America fa i capricci è meglio bombardarla; che la legge è uguale per tutti, ma lui non è "tutti"! Che i processi sono figli della giustizia, ma lui preferisce sua madre! Che i comunisti mangiano ancora i bambini, ma le bambine che si sono salvate sono sempre le benvenute ad Arcore, soprattutto le piu' cresciutelle!                                                                                                             
Ma i suoi insegnamenti pare non attecchiscano piu' e, per fortuna, tutti si sono rimessi in moto. La cultura, la scuola, l'economia. I giovani e i pensionati, i borghesi e gli operai. Un'unica voce comune che si leva dagli strati sociali piu' eterogenei ma ugualmente stanchi dell'immobilismo politico che ha impastoiato il paese. In quest'ultime amministrative, infatti, nessuno, o quasi, è rimasto a casa e poco o niente si è parlato  di astensionismo. Chi, infatti, non ha avuto una voglia irrefrenabile di sugellare con il proprio voto il declino di un mito insano? Una x, una sola x nella casella dell'avversario...un solo gesto e il gioco è stato fatto! Perchè i voti che hanno fatto la differenza sono quelli degli italiani che per troppo tempo hanno sentito parlare in tv solo di bunga bunga. Quelli delle migliaia di donne che, ancora una volta di domenica, si sono dette " se non ora, quando? "; e ancora, degli operai lasciati a casa o mandati in cassintegrazione; degli insegnanti, i ricercatori e i professionisti che pregano per arrivare con un euro in piu' in tasca a fine mese. Sono quelli dei giovani che il pagliaccio nei circhi lo ricordano piu' giovane e buffo. E non circondato da "minettine" e  "mangiacuori".
Da lunedì, quindi, non sono i numeri a parlare...un quorum raggiunto o meno è poca cosa rispetto alla polvere che gli italiani hanno iniziato a togliersi di dosso. Che la sveglia sia suonata tardi non c'è alcun dubbio, ma che quella sveglia abbia ridestato le coscienze di un'intera nazione, questo sì che è un evento...anzi,  L'EVENTO! Noi, che svegli lo siamo stati sempre, vi perdoniamo cari fratelli pentiti berlusconiani, perchè siamo magnanimi, fiduciosi E SOPRATTUTTO SENZA PIU'  BAVAGLI...perchè "lui" forse "Trasumanava", ma noi adesso ci "organizziam" !

Valentina Fiume

sabato 14 maggio 2011

NOI, POPOLO DI ASPIRANTI STAGISTI...CON ESPERIENZA, PERO'!

<< Non c'è lavoro, e la formazione non basta. L'articolo è finito.>> Scriverei davvero solo questo in un pezzo sulla realtà giovanile attuale. Se solo avessi una redazione nella quale comporlo e un capo per il quale scrivere. Ma non ce l'ho. E allora scrivo per me stessa e per chiunque, da oggi in poi, vorrà visitare questo blog.
La mia storia è una come tante: laureata, specializzanda, sempre in cerca di stage e tirocini formativi. E il mio curriculum è solo un foglio bianco in una pila di carte ammucchiate sulla scrivania di chi il sedere lo poggia invece su una comoda poltrona. Dov'è la notizia? Proprio qua: essere esattamente nelle stesse condizioni di migliaia di miei coetanei. Perdonatemi se non l'ho inserita all'inizio come prevedono i manuali di giornalismo ma dilungarsi un po' serve giusto a presentarsi.
Tornando ai manuali adesso seguirò la prassi. Dunque, le 5 "W":
WHO: i giovani.
WHAT: sono tutti nelle stesse condizioni.                                  
WHERE": in Italia, ovviamente!
WHEN: adesso.
WHY: qui viene il bello!
Non solo le aziende non assumono ma quando lo fanno ricercano l' "esperienza". Sì, avete letto bene. Ma noi, dopo una vita sui libri e tra i banchi di scuola, cosa ne sappiamo dell'esperienza? Qualcuno ha mai detto "che buono!" prima di assaggiare un piatto di pasta? Al massimo siamo esperienti nel mandare curriculum e aspetteare risposte che tardano ad arrivare.
Paradossalmente, dunque, l'ostacolo all'ingresso nel mondo del lavoro è proprio il non averne mai fatto parte prima, e l'essere giovani equivale all'essere inesperti, ergo disoccupati.
Ma non basta. Tutto ciò, oltre che per le aziende, è valido anche per i tirocini e gli stage. E così ci si ritrova a inventare occupazioni mai esistite quando ad un colloquio ci viene chiesto con presunzione: "esperienze pregresse?". Se la bugia fa centro...complimenti! Benvenuti nel mondo delle illusioni. Le paghe "arriveranno" (pare che i capi prediligano il tempo futuro), e la tanto sudata "formazione" non è altro che un impiego a tutti gli effetti...ma a costo zero! Niente male, direi, per una nazione fondata sul lavoro...gratis, però!
Dunque, aggiorniamo perfavore lo Zingarelli e nel lemma "stage" inseriamo: "LAVORO GRATUITO, DEGRADANTE, ALLUCINOGENO PERCHE' INDUCE A FALSE ILLUSIONI SUL FUTURO."
Ma il nocciolo è tutto qua: il pezzo di carta non conta nulla senza esperienza, quindi bisogna rassegnarsi all'idea di farsi sfruttare un po'. E non illudetevi, cari colleghi, se vi lusigano con apprezzamenti, lodi e sorrisi plateali...i complimenti per voi, quelli sì che hanno un contratto..casualmente fino al termine del vostro impiego. Dopodichè saluti e baci. Alla fine di uno stage c'è quasi ( lasciamoci una possibilità di salvezza con il "quasi") sempre la porta. 
Non vi alletta l'idea di rimanere delusi dietro quella porta chiusa? Non temete...c'è sempre un'alternativa: la fuga all'estero.
Dati alla mano negli ultimi dieci anni sono emigrate dall'Italia più di 600.000 persone, la maggior parte delle quali laureate. Quasi nessuno ha fatto ritorno in patria. Che strano, eh? Pure noi emigranti! Ma nei tg c'è spazio solo per gli immigrati...un doppio flusso causerebbe ingorghi inutili.
Ingrati verso una nazione che ha investito per la nostra formazione? Guai a chi osasse anche solo pensarlo! La gratitudine non dà nè il pane nè il futuro. Ancora dati alla mano, esattamente quelli dell' Istat, 30 giovani su 100, neolaureati, non lavorano. Sapete come risponde il governo a tutto questo? Bacchettando che questi stessi giovani hanno la presunzione di non accettare una qualsiasi occupazione. O che studiano troppo.
Cari Ministri, e soprattutto cara Ministra della pubblica "distruzione", evidentemente voi di lavoretti ne avete invece accettati parecchi durante la vostra giovinezza, ma per carità, non voglio nemmeno indagare. Noi, giovani d'oggi, precari e per fortuna ancora sognatori, preferiamo leggere un libro in più...che è meglio!

Valentina Fiume